Un racconto di D&D

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    Mi prendo le prime righe per spiegare quello che ho intenzione di pubblicare.
    Ciò che state per leggere è un diario scritto dal mio personaggio durante una partita di Dungeons & Dragons. Le vicende che racconta sono il frutto di ciò che gli è successo in game e delle interazioni con altri personaggi interpretati dai miei amici.

    Premetto che non mi piace il genere fantasy, e vi spiego di seguito perché: di solito in uno scrittore di storie cerco di valorizzare la sua fantasia e il suo genio nel creare trame complesse e imprevedibili che hanno una loro logica. Ebbene, tale compito è troppo facile da svolgere (secondo me) in un mondo fantasy per il semplice fatto che l'esistenza della magia permette di spiegare tutto, e di trovare moventi altrimenti impensabili. Per questo e altri motivi, ritengo uno scrittore di fantascienza nettamente superiore a uno scrittore di storie fantasy.
    Prima di conoscere il gioco di ruolo D&D, ero del tutto ostile a questo mondo e sono solo parzialmente riuscito ad avvicinarmici giocando in compagnia dei miei amici :asd:

    Per permettervi di comprendere di cosa parla il diario del mio personaggio, è bene fare una piccola introduzione.
    L'avventura che attualmente sto giocando si svolge in un'ambientazione fantasy non ufficiale di D&D, completamente ideata e sviluppata da un mio amico.
    Ci troviamo su Hidir, un continente interamente circondato dalle acque popolato principalmente da halfling, umani, elfi e nani, mentre i draghi non si fanno vedere da molti secoli e nessuno ne sa il motivo.
    Per chi abita su Hidir, quel continente è l'unica terra emersa esistente, e morfologicamente è costituito da delle coste rigogliose e lussurreggianti, fiumi che attraversano un entroterra desertico e un'unica, immensa catena montuosa che separa il nord del territorio dalle zone sottostanti. Sulla punte occidentali vivono gli halfling, un popolo pacifico e senza ambizioni, addirittura in parte ignaro delle reali dimensioni di Hidir. A sud troviamo il regno degli umani, comprendente anche l'arcipelago meridionale, ad est vi è un'immensa foresta selvaggia, terra dei pochi elfi dei boschi rimasti, mentre la costa all'estremo oriente e l'isola vicina sono terre del regno degli elfi alti.
    Dei nani si sa poco: per qualche motivo hanno abbandonato le montagne a nord che abitavano da generazioni per trasferirsi nelle coste settentrionali, trasformandosi da minatori a marinai e mercanti.

    Gli elfi dei boschi un tempo vivevano fianco a fianco con gli umani, aiutandoli con la loro magia a scoprire le tecnologie che hanno permesso loro di fondare un regno indipendente. Un paio di generazioni fa, un tirannico re ha ordinato lo sterminio di tutti gli elfi, ritenendoli una razza troppo superiore e pericolosa, nonché una presenza troppo indipendente e ingombrante nei suoi domini.
    Gli umani ebbero la meglio in guerra, soprattutto per la loro superiorità numerica e perché gli elfi dei boschi non erano organizzati per combattere uniti. La nostra storia si ambienta a distanza di 60 anni da questo genocidio: il vecchio re è morto e il suo successore preferisce perdersi nelle feste reali, piuttosto che tenere il pugno di ferro sulla nazione. Gli elfi dei boschi sono dati quasi tutti per morti, ma gli umani hanno sottovalutato l'estensione della foresta a est in cui questa razza si è rifugiata, riuscendo a sopravvivere. Si dice addirittura che i paesi più a est del regno siano così lontani e isolati dai domini degli umani da intrattenere ancora scambi commerciali con gli elfi dei boschi.

    Il mio personaggio è, ovviamente, un elfo dei boschi e la vita che ha condotto fino ad ora lo ha portato a ignorare completamente ciò che la sua razza ha subito.
    Il suo nome è Endemeril, e all'inizio di questa partita ha 486 anni alle spalle.
    Egli ha vissuto la sua infazia fino agli ottant'anni con la sua famiglia in un piccolo villaggio di elfi nella foresta, in un'economia basata sul baratto e una società fondata sul rispetto reciproco. Un giorno un anziano elfo si è presentato in zona, dichiarando di sapere per certo che fra tutti gli abitanti del villaggio, vi era un individuo con un'aura sovrannaturale, adatta ad essere affinata nel suo monastero. L'anziano si chiamava Cleodoro, ed era il mestro degli elementi a capo del Monastero dell'Aura: una comunità di monaci che si isolava completamente dal mondo esterno per meditare e per apprendere e controllare la forza dell'armonia che naturalmente fluisce nei loro corpi. Endemeril si è dimostrato essere la persona che Cleodoro stava cercando quando è riuscito, contro la sua volontà, a tenere accesa una candela immersa in una brocca d'acqua. Il giovane elfo ha accettato di buon grado l'invito a vivere la vita comunitaria con gli altri discepoli degli elementi all'interno del monastero. All'inizio riceveva spesso visite da amici e parenti, ma nel corso dei decenni queste si fecero sempre più rare, finché egli non raggiunse il totale isolamento, interagendo solo con gli altri monaci e studiando a fondo la natura per riuscire un giorno a diventare tutt'uno con essa, controllando a pieno le sue forze.
    Negli ultimi 400 anni, Endemeril non è mai uscito dal monastero. Ha acquisito una profonda conoscenza ma solo tramite studi indiretti, ed è difatti all'oscuro del genocidio avvenuto 60 anni prima ai danni della sua specie.
    Ma le cose cambiano quando un giorno, inesorabilmente, egli viene a conoscenza di tutto.
    Il diario che il mio personaggio scrive è numerato a seconda dei giorni, ed i giorni sono contati a partire da quando l'elfo ha abbandonato il monastero.

    Bhe, direi che sapete tutto, non mi resta che augurarvi buona lettura :sisi:

    Diario di un monaco

    Giorno 14

    Da ormai due settimane ho abbandonato la vita comunitaria. Dopo secoli passati in quel monastero, è strano avere la libertà di andare ovunque si voglia.

    Vivere in sinergia con la natura e i suoi elementi è tutto ciò che contava fino a poco fa, quello che accadeva al mondo esterno non ci riguardava ma ho sempre accolto con rammarico le notizie di guerre lontane, a maggior ragione se fatte dalla stessa razza.

    Perché quella gente non sceglieva la vita che ho scelto io? Perché conquistare terre spargendo sangue quando la natura offre a chiunque le risorse per sostentarsi?

    Avidità, sete di potere e superbia sono concetti che conosco solo in astratto, ma è tempo di vedere con i miei occhi gli esseri viventi in cui albergano questi mali.

    Di solito, le informazioni su ciò che accadeva nelle vicinanze arrivavano frequentemente da nuovi allievi, mercanti di passaggio o viaggiatori. Ma per sapere ciò che accadeva nel remoto ovest era necessario attendere decenni, prima che qualche viandante ci raccontasse come si spostavano gli equilibri del continente.

    L'anziano Cleodero non ha mai preso di buon grado il mio eccessivo interesse per questi racconti, spesso mi ammoniva mettendo addirittura in dubbio l'onestà degli stranieri che aggiornavano me e altri miei fratelli sul mondo. Da un lato non potevo dargli torto: i fatti che avvenivano oltre le mura mi allontanavano dall'equilibrio e dall'armonia che ho sempre ricercato, non valeva la pensa farsi trascinare in bisticci tanto lontani e complicati.

    Tuttavia, una sera ho deciso da solo di stravolgere l'unico stile di vita che conoscevo. Cleodero aveva una ricca biblioteca di volumi, alcuni dei quali erano catalogati come sapere pericoloso per l'equilibrio. Inutile dirlo: erano libri di storia e di attualità. L'anziano era l'unico che teneva sotto controllo certi eventi, in modo che potessimo essere pronti nel caso fosse stato necessario usare la forza per l'unica ragione che la giustifica: la difesa del monastero.
    Durante la notte, nell'oscurità quasi totale, i miei occhi si sono mossi sulle pagine di quei testi più veloci del vento del nord, e ciò che ho appreso ha scosso il mio animo.

    Ho abbracciato il mio cambiamento interiore, ovvero la nascita di quella che i miei studi individuano come "empatia". Troppe cose erano accadute mentre l'acqua cadeva dalla cascata sopra il monastero, e per qualche motivo mi era impossibile esserne indifferente. Storie terribili coinvolgevano la mia stessa razza, la stessa razza che mi accomunava con tutti i fratelli e con l'anziano. Ho risparmiato una verità così dolorosa ai monaci che condividevano la mia curiosità e, prima del sorgere del sole, ho abbandonato per sempre la valle.

    Non sono partito a mani vuote. Ho portato con me la sacra spada d'argento che mi era stata affidata e l'anello della percezione interiore, oltre che il mantello della trasparenza e numerosi testi sottratti alla biblioteca: libri di storia e di sociologia su nani, elfi... e soprattutto umani. Conosco le lingue di questa gente, ma temo di non essere pronto a incontrarli.

    Ora più che mai devo studiare la natura, sia sui libri, che sulla mia pelle.

    Edited by THE RATCHET CHAMPION - 18/10/2020, 17:30
     
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    Pubblico di seguito alcune delle altre giornate che ho scritto (in ordine cronologico ovviamente)

    Giorno 17

    Non ho ancora cambiato idea. Non me ne sono andato per aver messo in dubbio le finalità del mio monastero: per me la via dell'equilibrio è e rimane quella che chiunque dovrebbe seguire.
    Ciò che ancora non mi spiego sono i modi che ci erano imposti: perché reclutare solo chi supera un rigidissimo esame di iniziazione? Perché non condividere con tutte le razze intelligenti il potere del connubio con la natura?

    È con quest'ultimo obiettivo che mi sto dirigendo verso terre ignote, ma prima avrò molto da imparare sulle persone se voglio prevedere i loro comportamenti.
    Oggi ho fatto il mio primo incontro ostile. Tre umanoidi mi hanno teso un agguato nascosti fra i cespugli del sentiero che percorrevo, i miei sensi li avevano captati decine di metri prima ma ero curioso di vedere come si sarebbero comportati se fossi caduto nella loro trappola.
    Si sono dimostrati del tutto indisposti ad ascoltare le mie parole e sono stato costretto a metterli al tappeto quando hanno minacciato l'uso della violenza.

    Ho già sentito parlare di banditi nelle storie dei mercanti, però mi sfuggono le loro motivazioni. Perché volevano che io consegnassi loro tutti i miei averi? Non sono in grado di fabbricarsi da soli una tunica? Che senso ha la forza bruta sugli altri, quando si hanno i mezzi a disposizione per cavarsela da soli?

    Non avevo mai dovuto scegliere della vita o della morte di qualcuno. Scoprendo i volti dei ladri sono riuscito a catalogarli come un umano e due goblinoidi. Ucciderli ora che erano inermi significava impedire loro di raggiungere l'armonia in futuro, mentre risparmiarli poteva compromettere l'integrità elementale di altre potenziali vittime.
    Il potere decisionale mi ha teso un'imboscata ben peggiore di quella orchestrata da coloro che volevano derubarmi. Travolgendomi, esso mi ha lasciato del tutto impreparato: non mi sentivo degno, né capace di distinguere la scelta giusta da quella sbagliata.

    Dopo attimi di meditazione, ho lasciato riposare i loro copri privi di sensi su un verde prato fiorito lì vicino, sperando che gli potesse essere di ispirazione. Una volta riempite le loro borracce d'acqua, me ne sono andato per la mia strada. Tutt'ora mi domando se ho fatto la cosa giusta a non fermare il loro cuore.

    Giorno 18

    Sto continuando a leggere per buona parte della notte. Alterno libri nozionistici elfici a quelli umani, sperando di capire come sia stato possibile arrivare alla strage. La mia cromatura simile a quella umana dovrebbe consentirmi di vivere fra loro senza essere riconosciuto per quello che sono ma, nonostante mi sia ripromesso di andare nei loro territori per vederci chiaro, c'è un motivo se ancora non ho abbandonato questi boschi.

    Tanto per cominciare, la mia sintonia con questa foresta è ormai totale: qui la natura risponde ai miei comandi, mi avverte delle minacce e mi offre facile sostentamento. L'altra ragione che mi trattiene è la carenza di informazioni. Per diciotto giorni ho atteso di imbattermi con gente della mia specie per porre loro domande, ed oggi è finalmente successo.

    Dopo ore di cammino, fra la fitta vegetazione ho avvistato un ruscello che alimentava le pale di un mulino. Di fianco ad esso, una piccola casa di legno vegliava su un orto di modeste dimensioni e un paio di elfi dei boschi si stavano prendendo cura delle coltivazioni con incantesimi molto simili a quelli usati da noi monaci. Parlare con loro è stato piuttosto piacevole: hanno dimostrato di conoscere il mio monastero e mi hanno invitato a trascorrere un pasto assieme ai loro amici cacciatori, che di lì a poco tornarono col cibo.

    Mi sono seduto volentieri al tavolo con quelle sette persone. Non mi conoscevano e non sapevano quasi nulla di me, ma erano già disposti a privarsi della carne che la natura gli aveva donato, per condividerla con uno sconosciuto.
    Per un attimo ho creduto che non fossero poi così lontani dall'equilibrio di un monaco, ma le cose sono cambiate quando ho iniziato a interrogarli sugli umani, eliminando il sorriso dalla stanza.

    Il rancore con cui commentavano l'inettitudine della razza umana era quanto di più lontano dall'armonia potessi immaginare. Alcuni avevano ancora ferite aperte, ma la tristezza allontana dall'equilibrio tanto quanto la rabbia, per quanto io stesso ne sia soggetto.
    Ho chiesto se secondo loro queste creature potevano essere corrette, istruite, migliorate... ed uno dei due padroni di casa mi ha risposto invitandomi a uscire sul retro.

    Mentre camminavamo lungo un sentiero di pietre levigate, l'essere mi ha spiegato che ciò è già successo: gli elfi hanno istruito gli umani, ma la loro indole è tanto diversa da non riuscire a sfruttare il sapere per altri fini, oltre a quello violento.
    Detto ciò, mi ha mostrato un'enorme quercia bruciata: era l'unico albero che in mezzo a tanta vegetazione aveva perso la facoltà di produrre foglie in seguito alla caduta di un fulmine. Su di esso erano incisi dei nomi, sessantasette per l'esattezza, ed erano i nomi degli elfi sterminati dagli umani durante la sola incursione nel villaggio in cui vivevano i commensali con cui ho condiviso il tavolo.

    Mi sono inginocchiato in preda allo sconforto ai piedi dell'arbusto, cercando di capacitarmi della cosa: quei nomi potevano rappresentare l'intera popolazione del mio monastero. Non ho fatto in tempo a comunicare con la pianta, prima di essere interrotto dalle parole dell'elfo che mi ha accompagnato. Le cito qui di seguito, perché voglio che mi restino impresse:

    "Dannati umani. Se potessi, li sterminerei tutti prima che possano sterminare definitivamente noi"

    Una dichiarazione così disarmonica e aspra poteva essere fatta solo da chi ha perso qualcosa di importante legato all'amore, o alla famiglia e
    la sola prospettiva di una guerra fra individui intenti a sterminarsi ha scosso la mia aura. Chiunque desideri la violenza è un nemico della pace con la natura, ed il fatto che il mio accompagnatore fosse uno di questi ha rivelato che la mia razza non è intrinsecamente portata all'equilibrio.

    Mi sono alzato in piedi, ringraziando per l'ospitalità e proseguendo per la mia strada. Non posso più aspettare, è tempo che io esca dalla foresta, è tempo che io incontri gli umani.
     
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    E il diario si infoltisce

    Giorno 22

    Purtroppo il libro sulla morfologia del continente si è rivelato troppo generico per potermi aiutare a coprire distanze così brevi.
    In compenso, la carta geografica che ho tracciato nella mia mente grazie ai racconti dei viaggiatori ha funzionato. Con le sole nozioni teoriche e con la guida delle stelle, ho raggiunto il fiume che delimita la fine della foresta.
    Ho attraversato uno dei suoi ponti ormai logoro dalle ruote dei carri commerciali e dagli zoccoli degli animali da traino. Varcare quel confine è stato come evadere da una delle prigioni elementali in cui l'anziano ci rinchiudeva durante le simulazioni meditative: avevo ottenuto l'accesso ad un'infinità di possibilità di conoscere, pagando il prezzo della mia sicurezza personale.

    Lasciatami Majuras alle spalle, ho continuato senza esitazione il mio cammino per la prateria che mi accoglieva nel mondo esterno. Non ci volle molto prima che comparissero quelli che sembravano vigneti, apparentemente una delle poche coltivazioni che gli umani sanno far maturare in questa stagione. Anche gli ulivi erano frequenti sulle colline attorno al sentiero, dei campi così estesi e inefficienti non potevano che appartenere a degli umani ma non ero interessato a parlare con dei villici che probabilmente conoscevano il mondo male quasi quanto me.

    Arrivato ad un bivio, ho avvistato in lontananza un notevole ammontare di individui che ostruivano il sentiero sud. Avvicinandomi col mantello della trasparenza sono riuscito a capire cosa stava succedendo: mi trovavo di fronte ad altri predoni. Stavolta erano otto e stavano mettendo alle strette una carovana di mercanti simile a quelle che passavano per i miei boschi. Non è stato difficile scegliere da che parte schierarsi vedendo la sproporzione numerica e la differenza di intenti. "Rubare" significa sottrarre ad altri ciò che la natura ha loro concesso senza averne il permesso, e questi loschi umanoidi stavano certamente rubando.

    Dato il loro numero, affrontarli è stato più impegnativo dello scontro della scorsa settimana. Non erano esperti nell'arte della spada quanto i monaci ma il loro numero è bastato a farmi sfiorare da una delle loro lame.
    Non potevo rischiare di farmi trafiggere. Ho fatto qualche passo indietro sfruttando la mia superiorità di movimento e, dopo aver atteso che si mettessero sulla giusta traiettoria per venirmi addosso, ho sferrato il pugno dell'aria inviolabile, scatenando contro di loro un vento sufficientemente forte da fargli volare in aria. Tali attacchi elementali influenzano negativamente la mia aura, speravo di non dovervi mai ricorrere ma se un manipolo di violenti è riuscito a costringermi, chiunque potrà farlo.

    I mercanti hanno accolto con gloria la mia prestazione, non notando o ignorando la razza a cui appartenevo. Tale esperienza mi ha lasciato alcune domande ma finalmente ho una pista per indagare: sia i ladri assalitori che i carovanieri assaliti erano umani, ma ciò evidentemente non è stato sufficiente per evitare la forza bruta. Quando ho chiesto ad uno di loro cosa volevano i banditi, questo mi ha illuminato raccogliendo dai corpi inermi delle borse ed estraendone dei dischi di metallo.

    Erano monete. Avevo già visto l'anziano Cleodoro cedere alcuni testi da lui scritti in cambio di questi pezzi d'oro, per poi usarli per ottenere da altri mercanti i beni più vari ma era la prima volta che avevo l'occasione di tenerle fra le mie mani.
    I simboli incisi su di esse erano belli alla vista ma non sufficienti per motivare il loro valore di baratto, e poi non mi era chiaro come mai vi fosse il bisogno di portarsene dietro così tante. Il mercante mi ha detto che sono il bene scambiabile più richiesto, ma non mi spiego tutt'ora come questi oggetti possano suscitare comportamenti tanto sbagliati. Dev'esserci per forza qualcosa che va oltre il potere di scambio.

    Uno degli umani mi ha offerto le monete raccolte dai predoni sconfitti, porgendomele come ricompensa per i miei servizi. Ho specificato loro che mi attendeva un lungo viaggio chiedendo se avessero un arco da darmi al posto di quei cerchi dorati, ma mi hanno rassicurato indicandomi un insediamento umano dove avrei potuto barattare questi manufatti per delle armi.

    Una volta separatomi da loro ho deciso: sarà da questa cosa chiamata "soldi" che comincerò le mie indagini. Se essi possono rendere gli umani così violenti, forse possono anche spiegarmi cosa gli ha spinti a sterminare gli elfi.

    Giorno 24 (pomeriggio)

    Molteplici sono i fatti che oggi meritano di essere trascritti su questo diario. L'esperienza delle ultime ore è stata particolarmente immersiva, tale da svegliarmi dal letargo meditativo degli ultimi secoli.

    Giusto stamani ho raggiunto il primo insediamento umano: un paese di modeste dimensioni immerso in un clima sufficientemente umido da poter ospitare acquitrini insalubri, ma col terreno abbastanza solido da tollerare l'architettura umana.
    Ero consapevole che fosse improbabile riuscire a trovare lì le spiegazioni che cercavo: tutto ciò che mi aspettavo di ottenere era uno scambio conveniente fra le mie monete ed un arco di qualità almeno pari a quelli con cui mi esercitavo al monastero.

    Usando il mantello per celare i tratti somatici distintivi della mia specie, ho percorso la strada principale per poi raggiungere le prime abitazioni. Con i miei sensi superiori ho cercato di capire qual era la reazione dei paesani al passaggio di un estraneo per le loro strade, ma ho notato più curiosità che ostilità nei loro sguardi e nei loro commenti.
    Quel poco che sapevo della società umana mi suggeriva che non era normale che in giro ci fossero solo donne, bambini ed anziani. Possibile che tutti i maschi adulti fossero impegnati in attività fuori dalla città?

    Ero sul punto di porre la domanda a qualcuno, quando ho sentito una voce chiamarmi "straniero". Mi sono istintivamente voltato verso quello che sembrava l'unico uomo di sesso maschile in tutto il villaggio, domandandogli se si fosse rivolto a me. Di tutta risposta, costui mi ha invitato a raggiungerlo nel cortile interno della sua abitazione, dove stava battendo il metallo ancora caldo di alcune punte di freccia su un incudine.
    Ho accettato senza remore la sua accoglienza, scavalcando agilmente la recinsione che separava il sentiero del borgo dalla sua area di lavoro. Non potevo far altro che provare pietà per lui guardandolo: probabilmente la creatura era infinitamente più giovane di me, ma già portava sul fisico i segni della vecchiaia tipici degli elfi esasecolari. Le sue spesse e robuste braccia facevano ben intendere a quali attività manuali avesse lavorato per tutta la sua breve vita, e la fuliggine e le scottature recenti mi permettevano anche di dedurre che fosse a lavoro da almeno quattro ore.

    Senza smettere di prestare attenzione al suo operato, mi ha chiesto se volevo "comprare" qualcosa, senza nemmeno domandare quale fosse il mio nome o da dove venissi. Non sapevo il significato di quel verbo, quindi gli ho risposto con una nuova domanda, sperando di eludere la sua. Ho esposto all'uomo le mie perplessità sull'assenza di altri maschi adulti, ed egli mi ha gentilmente chiarito i dubbi senza insistere sul suo quesito. Ho appreso che durante il giorno solo lui e pochi altri uomini restavano in paese, la maggior parte era impegnata altrove in battute di caccia o nella mietitura del grano.

    Osservando la fatica fisica del mio interlocutore, non ho potuto fare a meno di pensare all'inferiorità che accomuna gli umani: noi elfi ci facciamo aiutare dalla magia, sia nel campo agricolo che in quello manifatturiero. Perfino nella caccia i nostri sensi acuti ci danno un vantaggio naturale impareggiabile sulla razza umana, eppure questi individui condannati a vivere per meno di un secolo trovano la forza per battere il ferro rovente su un incudine anche oltre la mezz'età.
    La loro condizione è dettata solo dalla loro natura: un elfo non ha meriti se può vivere settecento anni, così come un umano non ha colpe se ne vive ottanta. Per qualche strano motivo in questo siamo profondamente diversi e nascere in un debole corpo umano può essere senza dubbio motivo di frustrazione e di invidia nei confronti della mia specie, anche questo è un particolare che devo tenere a mente in futuro per spiegarmi il genocidio.

    Vedendo alcune frecce di buona fattura in un vaso, mi sono ricordato del mio proposito iniziale e ho chiesto al villico se aveva un arco da cedermi. Egli si è detto entusiasta di vedere finalmente uno straniero intento a comprare, ed è lì che ho compreso il senso logico della nuova parola: "comprare" significa scambiare delle monete per avere un bene.
    Mi ha mostrato molti archi in ottimo stato usati dai cacciatori del villaggio, permettendomi di scoccare un paio di frecce per testarli. La mia mira deve averlo impressionato, perché solo allora si è deciso a chiedermi quale fosse la mia professione.
    Probabilmente è stata la pena nei suoi confronti a spingermi ad essere sincero, producendo una piccola fiamma fra le dita e dichiarando di essere un discepolo degli elementi. Al che giunse la domanda che aspettavo:

    "Sei un elfo?"

    Ho annuito, senza smettere di controllare la tensione degli archi circostanti. Mi aspettavo qualsiasi reazione, ma l'artigiano ha solo fatto un cenno col capo sorridendo per poi elencare il prezzo delle sue creazioni.
    "Prezzo" è un'altra parola che ho appreso dal fabbro oggi stesso, assieme alle parole "acquistare", "vendere", "guadagnare" e "pagare".
    Dopo averlo reso felice cedendogli i soldi in cambio di un arco ed una faretra con le frecce, si è deciso a dirmi di chiamarsi Altor. Ho ricambiato la presentazione, capendo di aver davanti un valido soggetto da interrogare.

    Mentre sistemavo la nuova arma, ho formulato la più importante delle mie domande: come mai secondo lui la sua razza ha massacrato la mia?
    Altor non si è dimostrato stupito nemmeno da queste parole, ma purtroppo non era ancora nato quando i fatti sono avvenuti. Non essendo mai stato in una città vicina alla capitale, le sue poche conoscenze si basavano sui racconti che ha sentito da bambino. Quando era giovane, gli elfi da queste parti si mostravano raramente ed erano per lo più banditi, ma con il tempo sono diventati mercanti e da allora hanno rapporti costanti con i territori periferici del regno umano, per questo l'artigiano non ha reagito aggressivamente quando ha conosciuto la mia identità.
    A detta del mio interlocutore, il motivo che ha spinto il vecchio re a dare guerra alla mia gente sarà tanto più facile da scoprire tanto più mi avvicinerò al cuore dei domini del suo successore, anche se ciò significherebbe esporsi di più al rischio di trovare umani ostili nei miei confronti.

    Il fabbro non mi ha detto molto, ma se quel poco che è uscito dalla sua bocca è vero ora il mio quadro della situazione è decisamente più completo. Tanto per cominciare, ho scoperto che gli umani sono come gli elfi: entrambi possono essere assassini o gente pacifica a seconda del contesto in cui vivono. Gli umani che abitano da queste parti erano così lontani dalla capitale da non avere nemmeno un rappresentate reale nel paese, e i loro padri non hanno preso parte al genocidio, probabilmente perché gli ordini non gli sono arrivati.
    Secondariamente, ho appreso che gli umani erano organizzati in un regno, forse ereditario, ed era stato il vecchio re a compiere il massacro.
    Questa forma di organizzazione sociale non mi era nuova: perfino gli elfi alti, nostri cugini, hanno un simile sistema amministrativo. Non ero del tutto contrario alla monarchia, ma i criteri con cui di solito i sovrani vengono scelti erano del tutto infondati e contro la più semplice logica. Bastava guardare questo luogo: quale buon capo lo abbandonerebbe a se stesso in tal modo?

    Ho ringraziato Altor con le poche emozioni che per ora riesco a trasmettere. Costui, dopo aver contato un paio di volte i soldi, si è diretto all'uscio della propria casa urlando un paio di nomi:

    "Lenia, Benea! Preparate tutto ciò che ci serve: appena torna Gelion ce ne andiamo da questo posto!"

    Tempo pochi attimi ed una giovane ragazza è sbucata dalla porta, coprendo Altor di domande. Le mie scarse conoscenze non erano certo sufficienti per stimare l'età dell'umana, ma ero abbastanza sicuro che non fosse ancora adulta. La somiglianza fisica col fabbro, tuttavia, lasciava intuire un rapporto di natura genitoriale.
    Essa si stava chiedendo dove sarebbero andati e con quali soldi e l'uomo invece di risponderle mi ha presentato, dicendole che avevo acquistato un arco.
    Non capivo: se ne dovevano andare solo perché mi aveva venduto uno dei suoi archi? L'ho interrogato sulle sue intenzioni, ma è rimasto vago.

    "Lei è Benea, mia figlia. Ho anche un maschio più grande, ma attualmente è a caccia. Viviamo qui con la loro madre da sempre, ma grazie alle 70 monete d'oro che mi hai dato, possiamo permetterci un rudere di queste dimensioni in un posto più sicuro"

    Non mi sono accontentato della spiegazione, domandando quali fossero le ragioni che spingessero un uomo tanto sedentario ad abbandonare la sua terra.

    "Vedi, fino a pochi anni fa questo era un luogo tranquillo, ma ormai è afflitto da una piaga che rende quasi impossibile il sorriso. Devi sapere che un mostro fa visita ogni settimana al villaggio, esigendo quintali e quintali di cibo. Noi glielo forniamo, lui in cambio non ci mangia. Da quando una simile creatura si aggira per questi luoghi, nessun mercante si sofferma più di qualche ora ed è impossibile concludere affari sostanziosi. Al giorno d'oggi solo gli stranieri come te sono così ingenui da trattenersi. Ma ora sai la verità, quindi fai come me e la mia famiglia: vattene finché sei in tempo. Chiunque qua lo farebbe se avesse i soldi necessari, ma è impossibile guadagnare se non ci sono clienti e la maggior parte delle energie deve essere spesa per pagare il tributo alla bestia"

    Per coincidenza, quella stessa sera era la data fissata dal mostro per riscuotere il cibo, così mi sono offerto di parlare a nome del villaggio per convincerlo ad andarsene, ma Altor si è dimostrato più preoccupato che grato.

    "Credo sia una pessima idea, nemmeno tutti i nostri cacciatori messi insieme riuscirebbero a scalfire quel colosso. La fuga è senza dubbio la via più sicura"

    Ciò non aveva senso. Se lentamente le famiglie se ne andavano, prima o poi non ci sarebbero stati abbastanza contadini e cacciatori per nutrire la creatura ed essa avrebbe mangiato i pochi sfortunati rimasti in paese. Mi sembrava un ragionamento così facile da fare, che mi pareva impossibile che il fabbro non ci avesse pensato. Il suo era forse... egoismo? Forse egoismo misto a paura, giustificato anche dal rischio che correva il suo nucleo familiare. Tuttavia, per quante spiegazioni io tentassi di dare al suo comportamento, non ce n'era una che giustificasse l'abbandono dei suoi compagni compaesani.

    Con un ultimo ringraziamento, ho augurato a lui e alla figlia buona fortuna, annunciandogli che sarei rimasto in città per vedere il mostro con i miei occhi e fare tutto il necessario affinché smetta di tormentare l'armonia del posto.
    Senza attendere ulteriori inviti a desistere, mi sono arrampicato sull'edificio più alto del villaggio, fissando il sole e stimando le ore rimanenti al tramonto. Fatto ciò, mi sono seduto congiungendo le braccia, poi ho creato una piccola sfera d'acqua e ho iniziato a farla roteare intorno a me, entrando in trance meditativo.

    Quando il cielo aveva ormai i colori del crepuscolo, i cacciatori e i contadini sono tornati in paese con i frutti del loro lavoro. Li ho osservati mentre disponevano tutta la carne e il pane nella piazza che forse un tempo ospitava gli scambi commerciali, per poi andare a riposare nelle loro dimore. Le donne, a quel punto, hanno cucinato il cibo in grosse pentole allestite all'esterno, aggiungendo al ricco banchetto anche dei viveri direttamente dalle scorte che gli abitanti si erano procurati nei giorni precedenti.

    La mole di risorse richiesta dalla bestia era davvero notevole. Soltanto un gigante poteva consumare così tanti doni in una sola volta.
    Considerando che l'ambiente quasi paludoso dei dintorni non offre molte occasioni per coltivare o per trovare il tipo di selvaggina che vedo nelle pentole, ho dedotto che reperire così tanto cibo costasse enormi sacrifici anche in termini di spazio: i cacciatori e i contadini facevano di sicuro molti chilometri al giorno per trovare aree adatte alle loro attività. Non avevo più dubbi... Questa gente viveva nella schiavitù, ovvero una condizione tanto misera da non essere meritata da nessuna specie intelligente, nemmeno dal re che ha sterminato gli elfi. C'è un motivo se la natura ha separato le razze intelligenti dagli animali, non potevo permettere che degli umani venissero trattati come tali.
     
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    Mi ero scordato di pubblicare l'ultima parte del prologo. Dopo questa giornata, è iniziata la partita vera e propria :sasa:

    Giorno 25

    Ieri per pura coincidenza tre stranieri hanno attraversato le terre di questo paese, e sempre per pura coincidenza la loro collaborazione è stata indispensabile per superare un ostacolo che probabilmente nessuno dei tre da solo poteva affrontare. Se c'è una cosa che l'anziano Cleodoro ripeteva con insistenza è che quando le probabilità che un evento si verifichi sono così basse, spesso non si tratta di una coincidenza ma del flusso inevitabile della natura, la quale alle volte guida il fato delle creature attraverso l'energia che fluisce nei loro corpi.
    Ebbene, ero convinto che io, l'umano e il nano fossimo destinati ad incontrarci lì. Motivo per cui ho approfondito volentieri la loro conoscenza.

    Dopo lo scontro, il mio compagno di battaglia ha protratto la mano e con inaspettato vigore mi ha aiutato a raggiungere la posizione eretta. Era chiaro che non fosse un individuo di molte parole, ma dopotutto nemmeno io lo ero di solito.
    Ho accolto con freddezza l'esaltazione degli abitanti del villaggio che solo in quel momento uscivano dai loro rifugi. Non volevo la loro gratitudine dopo l'inettitudine che avevano dimostrato.

    Sono stato costretto a meditare per tutta la notte su un albero al fine di recuperare le forze e di permettere alla folla di placarsi. L'umano ha approvato la mia idea di riposare prima di conoscersi meglio mentre il nano è rimasto sul tetto della capanna a parlare alla popolazione di temi che ero troppo stanco per comprendere.
    Prima di abbandonare i due estranei, tuttavia, mi sono assicurato che avessimo un punto di ritrovo per questa mattina: la piazza.

    E così, oggi ci siamo incontrati e ho potuto inquadrare meglio colui che ha ucciso il gigante: l'individuo apparteneva alla famiglia dei nani delle colline e aveva un simbolo sacro sull'armatura, segno di appartenenza a qualche culto divino.
    Seguendo le usanze di queste razze, il nano ci ha condotto in un edificio che accettava monete in cambio di distillati e fermentati, facendoci sedere tutti attorno ad un tavolo. Il proprietario del luogo ci ha accolti calorosamente ma solo il più basso di noi ha ricambiato l'entusiasmo.
    Ci è stato "offerto" da bere, il che significa che il padrone di casa ci ha concesso i suoi beni senza chiedere nulla in cambio. Mi è stata portata una brocca di vetro riempita con un fluido chiamato "birra" ed ero contento di non essere il solo a ritenerla sgradevole: anche l'umano sembrava non sopportarla, sebbene già la conoscesse. Ho comunque assimilato la bevanda, per non offendere chi ce l'aveva regalata: dopotutto non eravamo lì per dissetarci, ma per conoscerci.

    Io e l'umano ci eravamo reciprocamente riconoscenti ed entrambi eravamo riconoscenti nei confronti del nano, ma i ringraziamenti sembravano così ovvi che abbiamo deciso di risparmiarli.

    "E così, tu saresti un elfo?"
    In questo modo l'umano ha rotto il silenzio dominato dal continuo deglutire del nano.

    "Direi che il mio aspetto non dovrebbe lasciarti dubbi"
    Gli risposi.

    "Perdonami, è la prima volta che vedo uno della tua razza. Vi conosco solo attraverso i pochi racconti che sono giunti alle mie orecchie"

    Effettivamente l'umano sembrava giovare. Era impossibile che sapesse dirmi qualcosa sul genocidio se nemmeno conosceva la mia specie.

    "A differenza di voi uomini, abbiamo un'aspettativa di vita di circa settecento anni, vantiamo una maggiore varietà cromatica nei capelli e nella pelle e siamo naturalmente reattivi alla magia"

    Ho cercato di capire dal suo sguardo se fosse già a conoscenza di queste informazioni, ma mi è stato impossibile leggere la sua espressione facciale neutra.

    A quel punto il nano si è unito alla conversazione, appoggiando soddisfatto la brocca di vetro sul tavolo.
    "Non scordiamoci quelle orecchie a punta che vi rendono difficili da non riconoscere. Per non parlare del fatto che voi elfi non avete nemmeno un pelo che superi il mezzo centimetro al di fuori dei capelli"

    Ero rincuorato nel vedere che il nano era ben più informato dell'umano sulla mia natura.

    Egli proseguì senza attendere che prendessimo la parola, cercando di rovesciare le ultime gocce di birra nella sua bocca.
    "Si può sapere tanto per cominciare come vi chiamate e da dove venite? Mi è difficile rivolgermi a qualcuno di cui non conosco il nome"

    "Dalle mie parti mi chiamano Warrick, questo è tutto ciò che vi è dato sapere"
    Dunque l'umano non era solo silenzioso, ma anche profondamente diffidente.

    Ho atteso invano il resto della discussione affinché desse informazioni di sé più precise. Speravo di dare il buon esempio raccontando loro qualcosa di me, dopotutto chi viaggia per fini conoscitivi non ha niente da nascondere a dei compagni di battaglia.

    "Il mio nome è Endemeril e appartengo alla famiglia dei Flortis. Ho lasciato il monastero dell'aura nella foresta di Majuras meno di un mese fa"

    Il nano si accarezzò la barba.
    "Bhe, il tuo nome associato al tuo cognome è troppo lungo. Ti chiamerò semplicemente Emeril"

    Nessuno fino ad allora aveva fatto una simile osservazione su di me. La cosa non mi faceva né caldo né freddo fintantoché riuscivamo a capirci.

    "Io comunque sono Kafnir, e vengo dai gloriosi mari del nord dove la mia gente si è trasferita. È stato un piacere trovare due persone dal cuore nobile come voi così lontano da casa"

    L'umano ha precisato subito la sua posizione:
    "Non mi sbilancerei a dichiararmi dal cuore nobile. Sono intervenuto perché la donna che me lo ha chiesto sembrava particolarmente disperata e ho provato pena per la gente del posto, ma pensavo fosse sufficiente ragionare col gigante, altrimenti non so se avrei avuto il coraggio di rischiare la vita"

    Al che ho voluto chiarire i motivi del suo comportamento di ieri:
    "Appoggio in pieno il tuo intento. Hai anche una buona conoscenza della lingua dei giganti ma... non ti sembra di aver usato un registro troppo alto per un gigante delle colline? Era ovvio che lo avresti solo fatto innervosire con quei toni"

    "A mia discolpa, devo dire che ho conosciuto giganti molto più intelligenti in passato"

    "Ah! Buon per te ragazzo"
    Kafnir ci ha squadrato entrambi dopo questa esclamazione.
    "Mi farebbe piacere sapere se siete stati un incontro casuale sul mio cammino, o se ciò è stato espressamente voluto dal dio dei mari e delle tempeste. Per cui ditemi: dove siete diretti, e perché?"

    L'affinità del nano con la mia filosofia era evidente: anche lui sospettava che il fato avesse guidato il nostro incontro.

    La risposta dell'umano è stata di nuovo deludente, ma almeno ha manifestato l'intento di non volersi separare da noi.
    "Come vi ho già detto mi chiamo Warrick, e di me non saprete nient'altro attorno a questo tavolo. Potrei essere diretto nello stesso luogo in cui siete diretti voi, ma vi lascio l'onore di parlare per primi"

    Per incoraggiare la fiducia reciproca, ho raccontato le mie vicende senza timore. Ho cominciato con un breve accenno alla mia infanzia, per poi passare ai trecento anni passati al monastero e ai motivi che mi hanno indotto da poco ad abbandonarlo. L'interesse dei miei ascoltatori era alle stelle, anche se l'espressività dell'uomo restava tale e quale alla mia, ovvero pari a zero.

    "In conclusione, il mio obiettivo attuale è scendere a sud per conoscere gli umani e comprendere i processi sociali che hanno reso possibile lo sterminio della mia gente. Ma non ho intenzione di fermarmi lì: metterò in pratica le mie conoscenze sull'armonia per contenere la violenza che ormai dilaga in quasi tutte le razze intelligenti"

    Come volevasi dimostrare, Warrick non sapeva niente del genocidio. Anzi, ha perfino reagito con amarezza quando glie ne ho parlato:

    "Sapevo che non dovevo fidarmi"

    "Fidarti di chi?"

    "Della mia razza. Diciamo che vado poco d'accordo con gli umani, e ora mi hai dato le prove per capire quanto sono crudeli"

    Incredibile, avevo trovato un esemplare in disarmonia con la sua stessa specie biologica.

    "In tal caso è ironico che ci siamo incontrati proprio per difendere un loro villaggio... Tu che mi dici Kafnir, hai risposte alle mie domande?"

    "Spiacente elfo. Perfino io conosco poco gli umani, non ho le conoscenze necessarie per darti certezze sul genocidio"

    Adesso mi era tutto chiaro: costoro non erano la meta del mio viaggio, ma solo le guide che mi avrebbero aiutato a percorrerlo. Non potevo pretendere che risolvessero i miei problemi.

    "Comunque..."
    Proseguì il nano lucidando lo scudo,
    "...La tua destinazione è potenzialmente uguale alla mia. Anche le mie conoscenze sugli umani meritano di essere approfondite, devo diffondere la bontà di Fulmar in quei territori a sud"

    Ormai era certo che il nano fosse il servitore di una divinità. Il simbolo sul suo scudo e sulla sua armatura rappresentava un gabbiano stilizzato, ma era più che un simbolo: era il segno sacro di Fulmar, il dio dei mari, delle piogge e delle tempeste, nonché principale divinità dell'acqua.
    Questo spiegava il fulmine che Kafnir era riuscito a scagliare contro il gigante: esso non era frutto dell'armonia interiore del suo corpo, ma del potere magico concessogli dal dio a cui si è assoggettato.

    "Sentendoti parlare di Fulmar e vedendo il tuo equipaggiamento, devo dedurre che tu sia un suo schiavo"

    Le mie parole potevano essere intese come provocatorie, ma in realtà contenevano tutta la mia onestà. Conoscevo bene le otto divinità che comandano questo mondo e non ero così folle da mettere in dubbio la loro esistenza. Purtroppo tali entità sovrannaturali sono tremendamente reali e la loro connessione con gli elementi della natura è innegabile. La filosofia del mio monastero li ha sempre inquadrati come bambini troppo piccoli con poteri troppo grandi.

    "Schiavo? Diamine no! Sono solo un chierico, suo aiutante. Ho deciso spontaneamente di seguirlo dopo tutto ciò che ha fatto la mia gente. Devi sapere che un tempo vivevamo sulle montagne, ma una terribile catastrofe ci ha costretti ad abbandonare quel luogo ed egli ci ha portati a prosperare nei mari del nord"

    "Quindi ora fai tutto quello che lui ti comanda, solo perché ha usato la sua sconfinata potenza per farti un favore"

    "Non proprio. Non puoi abbassare un simile rapporto ad un semplice scambio di favori. Lui non mi ha mai imposto di venerarlo e di diffondere la sua parola, sono io che ho scelto di farlo in segno di riconoscenza per i doni che quotidianamente fa a tutti, te compreso. La stessa pioggia è frutto della sua benevolenza"

    "Non confondere Fulmar con la natura. Egli non è il solo a poter controllare l'acqua"
    Per dimostrarglielo, ho sollevato con una mano il liquido trasparente che era contenuto in un bicchiere sul tavolo, facendogli assumere una forma cubica.
    "Come vedi, anche l'armonia della natura è in grado di dare a chiunque la forza necessaria per manipolare gli elementi. L'unica differenza è che essa professa l'equilibrio e il perfetto bilanciamento fra ogni elemento, mentre il tuo dio desidera solo che l'acqua e il fulmine prevalgano su tutti gli altri. Gli dei si danno spesso battaglia per tali stupidi capricci, portando addirittura i loro fedeli a farsi guerra fra loro affinché uno di essi possa prevalere... ma l'equilibrio che vado ricercando è superiore a loro e ai loro battibecchi. Il tuo dio e i suoi pari sono i primi che dovrebbero mettere da parte l'arroganza e venerare la natura che gli concede di esistere senza autodistruggersi"

    I nostri toni erano calmi e pacati ma Warrick pareva osservarci con distacco, come se non condividesse né la mia posizione né quella del nano che mi stava rispondendo:

    "Sei coraggioso a catalogare tutti gli dei in un'unica categoria. I loro interessi sono ben più vari, così come lo sono i loro modi di fare. Tanto per cominciare, Fulmar non controlla tutti i fenomeni naturali associati all'acqua: ai suoi poteri concorre la magia dei maghi che permea la trama stessa dell'esistenza e probabilmente tu riesci ad avere un parziale controllo sugli elementi proprio perché sai manipolare tale trama.
    Secondariamente, il mio dio è esattamente il contrario di come lo hai descritto, ma sono lontano dal biasimarti visto che la tua è semplice ignoranza"

    "Ti ascolto dunque, prosegui"

    "Ebbene, Fulmar coopera con le divinità disposte a cooperare: più volte il dio dei mari e il dio del sole si sono ritrovati fianco a fianco a contrastare gli dei malvagi che corrispondono alla descrizione che hai fatto poco fa. Allo stesso modo, io più volte ho cooperato con i chierici del dio del sole per difendere i deboli proprio come è successo ieri. In conclusione, tutto ciò che Fulmar e suoi alleati vogliono è l'equilibrio"

    Quando Kafnir ha pronunciato la parola "equilibrio", il mio cuore si è fermato per un istante. Tendo a fidarmi troppo delle persone per mettere in dubbio quello che dicono, motivo per cui ho riesaminato le mie conoscenze sugli dei.
    Per Cleodoro essi erano tutti uguali: superbi, egoisti, assetati di sacrifici e attenzioni, ma il chierico aveva ritratto un'immagine di Fulmar diametralmente opposta. Era forse possibile che alcuni dei avessero compreso il significato dell'equilibrio della natura e che quindi avessero rinunciato al desiderio di dominare su tutti gli altri? Se così fosse, costoro potrebbero rivelarsi i più potenti paladini che l'armonia possa avere. L'unico lato negativo di queste figure restava il fatto che esse invitavano gli individui a controllare la natura per mano dei poteri da loro concessi, e non invogliavano a percorrere la via dell'armonia per far sì che le creature potessero scoprire l'energia necessaria dentro loro stesse come avevo fatto io.

    "Hey Emeril, sei ancora fra noi? Voi elfi andate in trance troppo spesso!"

    Il chierico mi ha scosso, interrompendo i miei ragionamenti.

    "Tranquillo, sono cosciente. Il tuo discorso mi ha fatto riflettere e ricredere nei tuoi confronti, nonostante ciò non posso lodare il tuo dio: andrebbe contro al mio principio di uguaglianza degli elementi, ma se vuoi viaggiare al mio fianco verso sud ne sarò onorato"

    Il nano a quel punto ha estratto i baffi con orgoglio dal secondo contenitore di birra:
    "Questo volevo sentire! La nostra saggezza congiunta sarà un'arma ben più affilata di qualsiasi spada. Ora serve solo un nome per la nostra alleanza, che ne dici di chiamarla armata del tuono?"

    Non conoscevo il costume di dare un nome alle alleanze...
    "Ti ricordo che non mi sbilancerò mai su un solo elemento. Considerando che viaggiamo col principale obbiettivo di insegnare agli altri imparando dagli altri, posso concordare se ci autonominiamo seguaci dell'equilibrio"

    "Vada per i seguaci dell'equilibrio, penso che a Fulmar non dispiaccia se assumiamo uno dei suoi ideali come nome"

    Detto questo, il nano ha alzato il suo contenitore di birra, probabilmente aspettandosi invano di essere imitato. Quando si è accorto che nessuno era pronto a fare altrettanto, si è rivolto deluso all'umano:

    "Tu non hai niente da dire Warrick? Ti piace il nome che abbiamo scelto?"

    L'uomo si è messo a sogghignare, dimostrandosi sia divertito che esasperato per tutto ciò che aveva udito in questi minuti:
    "Con affetto, mi sembrate un paio di deficienti. Vi seguirò a sud anche se non ho alcuna intenzione di prendere parte ai 'seguaci dell'equilibrio'. Ma se mai dovessi impazzire ed unirmi definitivamente alla vostra alleanza, mi assicurerò come prima cosa di cambiarle nome"

    Il guerriero si alzò dal tavolo, dirigendosi verso l'uscita col suo equipaggiamento.

    "Direi che abbiamo cazzeggiato anche troppo: vi conosco meglio di quanto volevo conoscervi. Possiamo anche andarcene"
     
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